venerdì 29 febbraio 2008

Stanza del viandante (2)



Il viaggio è necessità. Dunque, prepariamoci per l'ennesimo viaggetto. Certo, per me che amo girare da sola, portarmi appresso 19 ragazzine urlanti non è poi il massimo (ehehehehe ma quanto sarò perfida?????). Sinceramente ci sta bene una piccola pausa, nonostante siano state molte le seccature (temo, ahimé, che non siano finite), e le incombenze ereditate da altri. Ich bin ein Wanderer, diceva Fritz, e quindi, l'esigenza, spesso fisica del cambiare aria mi è connaturata.
Organizzare una gita scolastica (per il piccolo branco di cui sopra) non è un divertimento, soprattutto in Italia, anche perché non puoi esattamente fare di testa tua -che so, per risparmiare, per trovare delle soluzioni alternative-: no, l'ostacolo massimo, il Moloch, è sempre lo stesso...BUROCRAZIA...!!!!!Organizzare una gita scolastica non è un gioco, è ben altro, ben altro...E quindi, avendo ereditato una situazione, eh si, perché non si può promettere un viaggio a Londra per poi lavarsene elegantemente le mani, mi è toccato sobbarcarmi anche le risatine dei colleghi ("Visto che vai due volte all'estero..."), già, perché in realtà, avrei dovuto accompagnare un'altra classe, in un luogo a me molto caro, meine zweites Heimat.
Cari miei, la scuola italiana è un postaccio. Insomma, a farla breve, fra giorni si parte, forse abbiamo organizzato tutto, si ovvierà alle solite incombenze, ma il risolino sarcastico dei colleghi proprio no. Il prossimo anno non mi fregano. Sono una pivella, devo imparare dalle vecchie volpi. Che ci posso fare, io mi appassiono. Credo davvero che le cose si possano fare, anche nel Castello di Kafka (la Scuola, ovviamente). Ma a quale prezzo!
Beh, spero di farmi un giro verso il binario 9 e 3/4 di King's Cross (vedi foto), prendere l'Hogwarts Express e imparare una buona volta il Quidditch, nel frattempo. Un saluto a tutti i babbani che hanno letto fin qui. Mi trovate su nel corridoio del terzo piano, ovviamente nella Stanza delle Necessità. Voi sapete dove e come trovarla. PS Sulla Mappa del Malandrino non la vedrete, ricordatevelo.

domenica 24 febbraio 2008

Stanza delle visioni notturne



Coloro che sognano ad occhi aperti vedono più, e meglio, di coloro che sognano soltanto di notte. Questa è solo una delle frasi di un celebre incipit di Poe, del mio Edgar Allan, al quale sono particolarmente affezionata. Quando mi accade di avere degli incubi, qualcuno, invariabilmente, mi batte una mano sulla spalla e con un leggero tono compassionevole mi dice di leggere meno, specialmente Poe. Impossibile, ovviamente. Non riesco a saziarmi di libri, diceva Petrarca, che se ne intendeva. A volte, quando leggo per troppe ore consecutive, mi accade di continuare a viverlo in sogno, il libro, di partecipare alla storia come spettatore esterno, di scorrere immagini e non pagine. A volte, i miei sogni mi accompagnano per tutta la durata della mia giornata, e gusto atmosfere e parole, più spesso colori e sensazioni. Purtroppo a volte sgradevoli, ed allora sto ad aspettare che prima o poi quella sensazione negativa si avveri. I Greci sostenevano che i sogni fatti all'alba avevano il sapore delle previsioni per il futuro, e del resto il mio nick è Pythya. Evidentemente, da qualche parte di me, credo ai/nei sogni. Non sarei, del resto, un'idealista.

A volte quindi penso che la realtà che sto vivendo si possa cambiare, che io possa davvero lottare contro i mulini a vento. A volte, invece, e oggi è una di quelle volte, mi sento un pochino sfiduciata, senza quello sguardo dritto verso il futuro (la freccia dei sagittari...) che mi infonde fiducia. Organizzazioni, istituzioni, famiglia. Oggi mi sta stretto tutto. Domani, probabilmente, avrò cambiato mood. Devo aver fatto un brutto sogno, evidentemente, che non ricordo. La sensazione è davvero quella. Bene, andiamo allora a rifugiarci nella no man's land, dalle parti dei libri. E, dunque, Enrico Alleva, La mente animale (saggio di etologia, non spaventatevi), e non ci sono per nessuno. Al prossimo stato d'animo. "Diremo, dunque, che sono un visionario" (E.A. Poe)

venerdì 22 febbraio 2008

Stanza del viandante



La passeggiata mattutina con Milla, il mio cane, consente, a volte, di osservare da punti di vista altrimenti inconsueti. Il mare, ad esempio, o, meglio, la spiaggia, è frequentata dai cani (e dai loro padroni) preferibilmente da ottobre a maggio. Quando la spiaggia permette ai quattrozampe di correre indisturbati e divertirsi senza essere cacciati.
Stamattina era una di quelle giornate: assolata, non troppo ventilata, col mare piatto. Milla si è divertita molto, nella sua corsetta, ed io passeggiavo assaporando quel vago gusto di libertà che soltanto la vista del mare può dare. Lo sguardo spazia senza confini, il sole sulla pelle ed il silenzio mi fanno sentire terribilmente privilegiata ad abitare a 500 metri dal mare, ed in Italia, dove il clima, di solito -non sempre- è davvero mediterraneo. Ti rendi conto di come il cane (e l'umano che l'accompagna) abbia bisogno di spazi aperti, di correre liberamente, di sentire il mare vicino.
Tornando ai cani, e agli umani, noti subito mentre ti avvicini ad un'altra coppia a 6 zampe, il carattere dell'umano: se comincia a tirare il giunzaglio o a cambiare strada, allora è terribilmente snob e non vuole mischiarsi con noi meticci (di solito il corrispondente cane è di razza); se invece comincia a sorridere a distanza, allora quella è una buona occasione per scambiare due parole. La cosa divertente è che quando i padroni di cani si incontrano è che la prima domanda, invitabilmente, non è buona giornata o come va, bensì "maschio o femmina?" perché raramente cani dello stesso sesso si trovano simpatici. Milla poi ha un un brutto carattere, non ama i cani troppo invadenti che cominciano ad annusarla. Si incazza. Ama molto i suoi spazi, Milla. Con gli umani, forse perché vive con degli umani che frequentano molte persone, invece, è espansiva. Raramente ignora un sorriso, un ciao di umano. Un cane socievole, insomma. Ben disposto e curioso verso tutto ciò che non conosce. Dovremmo imparare di più, da Milla.

Stanza degli amici





I miei amici, per fortuna, sono tutti degli abbaia luna, canta Guccini. (la canzone si intitola proprio Gli Amici). Questo post parla invece dei miei amici maschietti. Come ho già scritto, i miei amici sono persone speciali. Proprio perché tali, a volte, i loro discorsi, i loro ideali non trovano molta rispondenza in una società materialistica e superficiale. I miei amici ci sono sempre stati. Sempre e comunque. Mi hanno abbracciata, dopo la telefonata. Mi sono stati a sentire, nelle mie farneticazioni. Mi hanno spesso rimproverata. Tutti però mi hanno sempre dimostrato il loro affetto. Senza troppi fronzoli, diretto e semplice. Come loro. Qualcuno, purtroppo, non è più al mio fianco. E mi manca. Ormai sono passati anni, però da qualche parte, nel mio cuore, Moreno c'è ancora. Quando eravamo degli adolescenti contestatori e fuori degli schemi, io ed i miei amichetti Tony e Moreno ne combinavamo di casini, che ideavamo nel nostro rifugio dorato di quel palazzo antico col cortile interno. Poi siamo cresciuti ed avevamo dei progetti ben precisi: una folle innamorata dei libri, un pittore ed un fotografo. Ci sentivamo invincibili. Tony, poi, ha deciso insieme alla sua ragazza di tenere quel bambino concepito per caso, ed un po' si è allontanato. Moreno ed io, dopo una notte di vino e parole, eravamo comunque rimasti amici, anche se non più di quella amicizia adolescienziale ed esclusiva. Ma comunque era il primo a conoscere i miei ragazzi, i miei fallimenti, i miei casini. Poi, dopo vari casini, un platano ce (me) lo ha tolto. Una delle foto che gli avevo fatto adesso è su una lastra di marmo bianco. Sono passati anni. Non ho mai avuto il coraggio di andarci. Quella volta è stata anche l'ultima in cui ho visto Tony. Era assurdo rivedersi in quella circostanza, troppo dolore e lacrime.

Rimangono gli altri, nel corso della vita alcuni passano, alcuni se ne aggiungono. Ci si riconosce, con un amico. Ci si incontra in facoltà, da qualche parte, in qualche corso, e si capisce all'istante che si hanno gli stessi sogni, gli stessi ideali, gli stessi difetti e intolleranze.

Un amico ti insegna fin da piccola a rapportarti correttamente all'altro da te, all'elemento maschile. Ti insegna a fare a meno dei giri di parole, a mirare all'essenziale, anche nel vestire. Perché poi l'amico, quando cresci, ti racconta anche cosa cerca nelle ragazze, acciocché tu impari a tua volta. L'amico non sarà mai geloso del tuo ragazzo (qualche volta capita che gli piaccia, e di questo ne abbiamo sempre riso insieme. Quella pacca sul sedere di Ivan non la scorderò mai! Come il "ma che bella creatura" nei confronti di uno stupefatto Andrea che tuttora me lo rinfaccia ridendo). Anzi, a volta gli amici ti fanno conoscere il tuo ragazzo (nel mio caso, il mio compagno è il fratello di un mio amico...). Gli amici, per fortuna, ci sono. E mi hanno sempre insegnato molto, anche se loro non lo sanno. Quello che rende speciali i miei amici è anche come si rapportano alle loro donne, come vivono la reciprocità col genere femminile. Se hanno da fare un passo indietro, non si sentono sminuiti per questo. Lo fanno, perché condividono con le loro donne, con le loro amiche, sogni, speranze, ideali, intolleranze e battaglie.

Ai miei amici, presenti, passati, futuri. Ad Andrea, Aminta, Dona, Rosario, Andrea, Orazio, Marco. Persone speciali, i miei amichetti.

Aula (Stanza scolastica) 1


La mia quotidianità, fortunatamente, non è banale. Mi confronto con altre persone, con altre idee. A volte, a scuola, mi sento abbastanza costretta ed imprigionata nell'ansia da programma; mentre vorrei raccontare altro, ai miei studenti, alle mie studentesse.
La scuola italiana non è vecchia. E' obsoleta. Burocratica e terribile. Kafka, per scrivere il Castello, secondo me, aveva fatto un giro nelle scuole italiane, nei meandri delle segreterie, in fila in attesa di "conferire" con un dirigente scolastico sempre di corsa. Ah già, adesso li vogliono managersssss.
Da questa parte, da chi sta dall'altra parte della cattedra, non si comincia con i migliori auspici. Sei un essere umano, con i tuoi casini e le tue insicurezze, con le tue idee e idiosincrasie. Non puoi, né devi andare d'accordo con tutti i colleghi, non succede in nessun luogo lavorativo che assommi a più di una persona. Non puoi, né devi amare tutto ciò che insegni: avrai pure i tuoi argomenti preferiti, i tuoi personaggi di riferimento.
Non puoi, né devi sapere tutto. Ogni tanto puoi anche dire che hai bisogno di aggiornarti. Dovrai pure imparare di nuovo per trasmettere qualcosa ai ragazzi.

Secondo me, come dice Loredana Lipperini nel suo "Ancora dalla parte delle bambine", a scuola i ragazzi vengono più per socializzare che per imparare. Questo è davvero desolante. A chi hanno delegato il piacere della scoperta? Alla rete? Ai libri, se li leggono? E chi ha abdicato alla trasmissione del sapere, che è soprattutto trasmissione di vita? I ragazzi, gli studenti, non sono una massa informe. Non li invidio. L'età tra i 15 e i 18 anni per me rimane la più terribile. Tornerei volentieri ai miei 25 anni, non ai miei orribili 18. Non sei né carne né pesce, non sai chi sei né cosa vuoi. Aiuto che angoscia.

Arrivi in cattedra, ti siedi alla prima ora (i profffsss più giovani fanno la gavetta, ovviamente: sempre la prima ora e sempre il sabato) e li vedi entrare.
Osservi i loro sforzi per costruirsi un ruolo, una identità; spesso questa passa per la contrapposizione a qualcuno/qualcosa. La stragrande maggioranza delle mie studentesse è molto fit (ness), l'ultimo obbligo terribile al quale sono costrette le giovani donne (vedi Elena Gianini Belotti, Loredana Lipperini). Rincorrono ideali corporei irraggiungibili (Lara Croft: taglia 40 e quinta di reggiseno. Dove diavolo si sorregge un seno di questa misura se non esiste carne? Lara Croft, ovviamente, è stata disegnata da uomini. Scusatemi sto divagando, ma ho un rigurgito femminista prorompente, in questo periodo). Si sentono sempre inadeguate (immagino le voci di alcune di loro: No prof, non è vero io sto benissimo! Lo so che non vale per tutte, per fortuna). Io ripeto loro che secondo me sono semplicemente perfette e bellissime, ma non è facile scalfire anni di condizionamenti, che le vogliono attente a loro stesse, civettuole e litigiose. Già, pare che la solidarietà sia maschile (si chiama cameratismo, infatti, parola che a me però fa rabbrividire. Sa di armi, di camicie nere e di violenza).
E i miei studenti? Li vedi, anche loro, che cercano di obbedire ad una identità che spesso non sentono propria. Per fortuna, specie nei più giovani, si assiste ad un tentativo di ripensare gli schemi, ma sono ancora tentativi sporadici. Se solo si uscisse dalla logica della contrapposizione.

Ma con chi parlano, con chi dialogano questi ragazzi? Avranno qualche adulto di riferimento che non sia di celluloide? I cattivi maestri sono sempre in agguato. E loro sono dei fragilissimi e bellissimi fiori di cristallo. Affidano alla rete le loro parole, i loro sogni, le loro paure. Come se si stessero disabituando al parlare a voce, guardando un amico negli occhi. L'evoluzione del Diario segreto. Dalla carta ai tasti di un PC. Ripiegati su loro stessi, a volte. Mentre la vita va affrontata a schiena dritta, sguardo fiero e verso l'orizzonte. Ma la tua sicurezza te la costruisci anche attraverso le armi della parola, della cultura...(Dario Fo: "L'operaio conosce dieci parole, il padrone mille e per questo è il padrone). L'importanza di non farsi mai mettere a tacere, di smascherare le finzioni, di svelare che il re è irrimediabilmente nudo. Anche a questo serve la cultura, e non per farsi belli in un quiz televisivo.

Forse, anche questi sono i mulini a vento. Anche oggi il Don Chischiotte che è in me si è fatto sentire. "Anche se per quel giorno vi sentite assolti, siete per sempre coinvolti" (Fabrizio de Andre, Canzone del Maggio)

Questo post è per i miei studenti, con immenso affetto, con (moderata!!!!) stima.


mercoledì 20 febbraio 2008

Stanza dei premi

Ecco dunque il premio che ho ricevuto da Barbara!
Premio D eci e lode

questa la motivazione:
a Monica, ovvero Pythya, http://angolodellapythya.blogspot.com/2008/02/la-stanza-delle-donne.htm lche conosco da una vita e finlmente si è decisa a mettere un blog anche lei (esattamente come lei, così me la sento più vicina)

Che cos'è?"D eci e lode" è un premio, un certificato, un attestato di stima e gradimento per ciò che il premiato propone.Come si assegna?Chi ne ha ricevuto uno può assegnarne quanti ne vuole, ogni volta che vuole, come simbolo di stima a chiunque apprezzi in maniera particolare, con qualsiasi motivazione (è o non è abbastanza elastico e libero?!) sempre che il destinatario, colui o colei che assegna il premio o la motivazione non denotino valori negativi come l'istigazione al razzismo, alla violenza, alla pedofilia e cosacce del genere dalle quali il "Premio D eci e lode" si dissocia e con le quali non ha e non vuole mai avere niente a che fare.
Le regole:
Esporre il logo del "Premio D eci e lode", che è il premio stesso, con la motivazione per cui lo si è ricevuto. E' un riconoscimento che indica il gradimento di una persona amica, per cui è di valore (sotto c'è il pratico "copia e incolla");

Linkare il blog di chi ha assegnato il premio come doveroso ringraziamento;
Se non si lascia il collegamento a questo post già inserito nel codice html del premio provvedere a linkare questa pagina (sotto c'è il pratico copia e incolla);

Inserire il regolamento (sotto c'è il pratico "copia e incolla");

Premiare almeno 1 blog aggiungendo la motivazione.
Queste regole sono obbligatorie soltanto la prima volta che si riceve il premio per permettere la sua diffusione, ricevendone più di uno non è necessario ripetere le procedure ogni volta, a meno che si desideri farlo. Ci si può limitare ad accantonare i propri premi in bacheca per mostrarli e potersi vantare di quanti se ne siano conquistati.Si ricorda che chi è stato già premiato una volta può assegnare tutti i "Premio D eci e lode" che vuole e quando vuole ( a parte il primo), anche a distanza di tempo, per sempre. Basterà dichiarare il blog a cui lo si vuole assegnare e la motivazione. Oltre che, naturalmente, mettere a disposizione il necessario link in caso che il destinatario non sia ancora stato premiato prima.

Stanza delle (piccole) soddisfazioni


Noi ci accontentiamo davvero delle piccole cose. Ammesso che siano poi davvero tali! L'ultima piccola soddisfazione è stata quella del D eci e lode che Barbara ha assegnato al mio blogghino (è piccolino, nato da poco, ancora inesperto del web). Se non fosse stato per Barbara, il blog non l'avrei aperto. Ma se non fosse stato per le mie studentesse della terza linguistico, non avrei neanche aperto MSN. Pura pigrizia, per me il PC ha sempre rappresentato il lavoro, soltanto puro e semplice lavoro (ha ragione Sarah a chiamarmi Stakanov, alla fine). Piccole cose, dicevo. Ammesso che siano davvero tali. Per me, non sono piccole. E quindi, per esempio, ieri era davvero una di quelle giornate NO che ti si parano davanti nella vita, ieri, insomma, mi sentivo davvero come Don Chischotte contro i mulini a vento, e poi, minuscole, si fanno strada le briciole di soddisfazione. La bellezza di avere degli amici davvero in gamba è che loro hanno quelle speciali antennine che li avvertono di quando sei giù di corda, di quando hai bisogno di un "pat pat" -direbbe sempre Barbara. Comunque scrive divinamente, la ragazza, vi consiglio il suo blog, vedi Stanza dei consiglink-sulla testolina.
Ci sono momenti nella vita, nei quali ti vedi come una stanza da mettere in ordine. Fai pulizia, sposti i mobili, recuperi spazio per accumulare nuove esperienze. Ci sono momenti, nella vita, in cui ti guardi indietro e ti accorgi che non hai grossi rimpianti per ciò che hai deciso di mettere via, di lasciare da parte. Poi guardi la stanza-te stesso in ordine e ti accorgi che ci sono delle cose, degli oggetti, che non potrai mai gettar via, che fanno parte della tua esistenza.
Se la stanza sono io, i miei oggetti della vita sono tanti. Per fortuna. A partire dalle mie amiche, donne con tutte le lettere maiuscole. In rigoroso ordine di apparizione; Barbara, Sarah, Antonella, Raffaella, Eliana.
Non mancano gli amici, i quali mi scuseranno se il post di oggi è dedicato ancora alle donne, alle mie amiche, alle mie studentesse.
I miei amici sanno capire perché bisogna ricontarsi fra donne in questo momento storico, perché tocca rialzare la testa e vigilare con lo sguardo. Appunto perché i miei amici sono persone speciali, loro sanno perfettamente che questa volta, e lo faranno volentieri, richiediamo loro un passo indietro, senza abbandonarci con lo sguardo, con l'affetto, con il sorriso.
C'è bisogno di amicizia/e femminile/i, in quest'epoca, c'è bisogno di solidarietà e complicita. Io ce l'ho, ed è questa la mia più grande soddisfazione. No, decisamente, non mi accontento di poco.

venerdì 15 febbraio 2008

La Stanza delle donne

Ancora una volta. Eppure gli anni '70 sono passati da un
pezzo. Credo che ognuno, davvero, sia e debba essere
lasciato libero di scegliere, la propria fede, la propria libertà, la propria vita.
Ancora una volta. Non bastava la legge 40, che tratta il corpo della donna come un mero contenitore. Lo sosteneva anche Aristotele, ma era il quinto secolo avanti Cristo. Adesso si arriva al blitz in ospedale, con piantonamenti ed interrogatori appena uscite dalla sala. Dove, tra l'altro, si è dovuto ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza per motivi terapeutici. Appunto, motivi terapeutici. Credono ancora che interrompere una gravidanza sia una passeggiata! Hanno mai incrociato lo sguardo di una diciassettenne che ha appena interrotto la propria gravidanza tra mille ostacoli burocratici? Hanno mai sentito la mia amica Maria continuare a ripetere "adesso mio figlio avrebbe...tot anni"? Hanno mai sentito la telefonata di un sedicenne ansioso chiederti cosa fare quando si rompe un profilattico?
Mi fanno ridere. Hanno anche proposto la rianimazione di un eventuale feto che la famiglia, con enorme dolore, ha rifiutato. Si lavano la coscienza? Già, perché poi, questo bambino viene riconsegnato alla famiglia, che deve crescerlo, accudirlo, amarlo. E lo farà, se se lo ritrova tra le braccia. E coloro che si beano dell'aver salvato una vita, se ne staranno nelle loro belle stanze, coi loro figli belli e sani, e non sanno (non vogliono sapere) cosa significhi crescere un figlio minimamente disabile, in Italia. Minimamente, ho detto. La legge 194 riconosce in casi gravissimi l'aborto terapeutico: spina bifida e altre condanne a vita.
Parlano e manifestano a favore della famiglia.
Che parlino alle madri che perdono il lavoro per mettere al mondo un figlio, a coloro che non hanno asili nido a disposizione, alle famiglie completamente sole ed abbandonate, nel caso di figli non autosufficienti o, peggio, gravemente disabili. Vadano a parlare con queste famiglie, prima di tranquillizzare le loro coscienze anestetizzate o terrorizzate dall'enorme potere della donna (quello di donare la vita). Vadano a parlare con famiglie che non sanno neanche come assicurare un futuro ai loro figli condannati a vita da una malattia, che non sanno cosa sarà dei loro figli dopo la morte dei genitori...perché sono totalmente, completamente, inesorabilmente abbandonate a loro stesse da istituzioni latitanti.
La legge 194, tra l'altro, è stata anche oggetto di referendum e, se la Costituzione italiana non è stata ancora cambiata, non può essere quindi sottoposta a modifiche. Cosa parlano a fare, dunque? Solo fumo negli occhi?
Posso condividere o meno le posizioni intransigenti o meno delle gerarchie vaticane. Posso condividere o meno ciò che Ferrara ed altri sostengono.
Non condivido. Per questo, manifesto. Che condividano il mio diritto a dissentire, a manifestare, a protestare.
Fino a prova contraria, anche se molte leggi e alcune persone cercano di dimenticarlo e di farlo dimenticare, siamo ANCORA una stato laico.
Per questo, manifesto.

domenica 10 febbraio 2008


Stanza della quotidianità


Fughe, sogni, visioni. La quotidianità dalla doppia valenza: l'una, rassicurante, routinaria, certa. Ti ancori, a volte, alle tue abitudini per cercare in esse una vaga parvenza di certezza, altrimenti non sai più chi sei, non sai più cosa fai. La tranquillizzante routine! Quando non sai più nulla di te, allora, svegliarti al mattino e sapere ESATTAMENTE cosa ti accadrà, come sarà scandita la tua giornata, ha il potere di non farti sentire completamente alla deriva. Il mare aperto, appunto. Cominciamo dunque a costruire la nostra personalissima gabbia dorata, la abbelliamo e la rendiamo ariosa. In certi momenti, però, di questo rifugio ci appaiono solo le sbarre. E allora la fuga si rende inevitabile. Fuga che può occupare poco tempo (un sogno, un lampo fugace, per rendere meno pesante il ritorno "a casa"), o molto (che si conclude con la costruzione di una nuova gabbia). L'eterno ritorno dell'identico....

sabato 9 febbraio 2008

Stanza della politica

Il problema non è la caduta, è l'atterraggio. Per chi conosce uno dei miei film preferiti, L'ODIO di Kassowitz, questa foto rappresenta bene quel clima. Ho appena iniziato a leggere "Spingendo la notte più in là" di Mario Calabresi, figlio del commissario morto a Milano negli anni 70.
Difficile comprendere, per noi inebetiti dal benessere, l'aria e l'atmosfera.
Qualcuno l'ha rivissuta a Genova, nel 2001.
Gli elicotteri che volavano sopra le teste, come nell'inizio di Another Brick in the Wall.
Qualcuno reagisce ma spesso la reazione diventa spropositata.
Come si riesce ad ammazzare un individuo?
Ma, del resto, come si riesce a vivere fregandosene di tutto il resto?
L'importanza della storia, il dovere della memoria "Meditate che questo è stato", scriveva Levi.
A volte preferiamo voltarci, girare lo sguardo per non dovere indagare, per non dover guardare né ascoltare o riflettere.
Poi, per caso, si fa un giro su You Tube e si trova la canzone di moda del momento "Yes we Can", che vari artisti americani hanno dedicato e composto sulle parole di Barack Obama, candidato alle presidenziali.
E ti viene da pensare a quanto sia fortunato quel paese che si trova a dover scegliere tra Hillary e Barack. Ma, in fondo, loro sono una democrazia nata nel 1776. Noi siamo nati nel 1871, tuttalpiù nel 1861. La differenza di un secolo è pesante. A noi, se va bene, toccherà votare fra qualche mese per le solite persone, per la solita gente. Andremo a votare, certo. Ma continuando a pensare che, forse, non è proprio così che dovrebbe andare.
Beato quel paese che non ha bisogno di eroi, direbbe Brecht.

venerdì 8 febbraio 2008

Stanza del viaggiatore


Viaggi e miraggi. Viaggio reale, spostamento purtroppo sempre breve. Questione di tempo , questione di tempo. Ma non puoi rinunciare ad andare, a vedere, ad imparare, ad annusare. Altrimenti come fai a sentirti vivo, a dire che lo sei? Il viaggio in sé e l'esperienza con se stessi, il viaggio perfetto è quello dentro se stessi, portando come bagaglio solo l'aspettativa per il futuro.
VIAGGIO 1. Destinazione nota solo geograficamente, avevo sei mesi davanti, non sapevo cosa mi aspettasse. La lingua? Conoscevo poche parole, del resto il tedesco lo impari solo in Germania. Pronti partenza e via. Sedici ore di treno, Italia, Austria, Germania. Odori e sapori nuovi, nuove prospettive. Non c'è che dire. Impatto straniante, la difficoltà maggiore è stata la solitudine. Nessuno con cui parlare, parole scambiate frettolosamente per il puro gusto di scambiare delle informazioni. Poi, lentamente, si costruisce una tranquillizzante routine. A maggio, di sera, di ritorno da Monaco in treno, allo scorgere le fredde luci azzurrine della cattedrale, mi sono sorpresa ad esclamare "finalmente a casa!!!!". Il concetto di Heimat, non è poi sbagliato. Heimat come luogo affettivo, metafisico, non esattamente reale. La somma di varie realtà, forse.
Le passeggiate notturne con Carlo. Il cinema in lingua originale con Thomas e Juergen. La piazza della cattedrale, così gotica, spettrale, evocativa. Il concetto di "casa", a volte, è puramente relativo. Personalmente, diffido di ogni esaltazione, soprattutto quando si parla di radici, di identità. Continuo a pensarlo. Piuttosto, la nostra identità è stratificata, complessa, frutto di miriadi di innesti, combinazioni rizomatiche piuttosto che radici....