venerdì 8 febbraio 2008

Stanza del viaggiatore


Viaggi e miraggi. Viaggio reale, spostamento purtroppo sempre breve. Questione di tempo , questione di tempo. Ma non puoi rinunciare ad andare, a vedere, ad imparare, ad annusare. Altrimenti come fai a sentirti vivo, a dire che lo sei? Il viaggio in sé e l'esperienza con se stessi, il viaggio perfetto è quello dentro se stessi, portando come bagaglio solo l'aspettativa per il futuro.
VIAGGIO 1. Destinazione nota solo geograficamente, avevo sei mesi davanti, non sapevo cosa mi aspettasse. La lingua? Conoscevo poche parole, del resto il tedesco lo impari solo in Germania. Pronti partenza e via. Sedici ore di treno, Italia, Austria, Germania. Odori e sapori nuovi, nuove prospettive. Non c'è che dire. Impatto straniante, la difficoltà maggiore è stata la solitudine. Nessuno con cui parlare, parole scambiate frettolosamente per il puro gusto di scambiare delle informazioni. Poi, lentamente, si costruisce una tranquillizzante routine. A maggio, di sera, di ritorno da Monaco in treno, allo scorgere le fredde luci azzurrine della cattedrale, mi sono sorpresa ad esclamare "finalmente a casa!!!!". Il concetto di Heimat, non è poi sbagliato. Heimat come luogo affettivo, metafisico, non esattamente reale. La somma di varie realtà, forse.
Le passeggiate notturne con Carlo. Il cinema in lingua originale con Thomas e Juergen. La piazza della cattedrale, così gotica, spettrale, evocativa. Il concetto di "casa", a volte, è puramente relativo. Personalmente, diffido di ogni esaltazione, soprattutto quando si parla di radici, di identità. Continuo a pensarlo. Piuttosto, la nostra identità è stratificata, complessa, frutto di miriadi di innesti, combinazioni rizomatiche piuttosto che radici....

1 commento:

Mammamsterdam ha detto...

E quale sarà mai la mia Heimat (a proposito, ti ho mai detto che Berend ha i DVD di tutte le innumerevoli serie di Heimat?)

Solo da poco finalmente riesco a pensare alla mia isoletta di Amsterdam come a Casa. Sono processi lunghi. Eppure, ogni volta che mi ritrovavo ad arrampicarmi in bici sul ponte grande, specialmente al tramonto, gioivo della vista splendida che si vede da lì a quell'ora ed ero felice che quella fosse la strada per rientrare a casa mia.

Ma adesso che sto per tornare giù, anche se non ha alcuna utilità pratica e comporta invece uno sbattimento enorme, DEVO entrare almeno per mezz'ora a casa di Ofena. Non ci ho mai veramente abitato, è più un luogo della memoria che della mia quotidianità. Ma devo toccare quelle pietre per capire che sono viva. Ci vieni con me?