lunedì 21 luglio 2008

Stanza della burocrazia

Ovvero, l'eterno ritorno dell'identico. Sono stata all'Università, stamani. Era davvero molto tempo che non mettevo piede a "Gottinga", per citare un racconto del prof. Iengo. Ho anche per un attimo accarezzato l'ipotesi di andare in segreteria e ritirare la mia pergamena di dottorato, ma poi ho cambiato idea. In realtà, ero partita con le migliori intenzioni: accompagnare per un giro informativo due miei studenti che vogliono immatricolarsi a filosofia. Siamo arrivati e subito ho provato una sensazione strana, come di spaesamento. Siamo entrati e mi è tornata alla mente la cara vecchia metafora della torre d'avorio. Tutto immobile, sospeso nel tempo, l'istante che si ripete eternamente ma non perché "così volli che fosse" ma perché DEVE essere così. Soliti discorsi, solite espressioni. Davvero, io non c'entro, e fatico ormai a pensare che tempo fa, Antonella ed io facessimo davvero parte di quel mondo. Oddio, da outsider, da schegge impazzite, ed è per questo che non siamo mai state davvero "organiche" al sistema. Nulla è cambiato, ed è per loro così rassicurante. Non so se Andrea ed Alessio abbiano captato il mio disagio, l'idea che io avevo era soltanto quella di fare un giro all'Università e di parlare con qualcuno che la vivesse dal di dentro. Tanto poi loro andranno a Roma Tre. Aria migliore, certo, ma sempre torre d'avorio. Avranno 5 anni di tempo per accorgersene e poi decideranno anche loro, come abbiamo deciso tutti; o dentro, con quello che comporta aderire alla proposta di Mangiafuoco (devi diventare un burattino, come sa bene Pinocchio), o fuori, per il mondo, in trincea o altrove. Scelte comunque legittime, nessuno le mette in discussione. Ho preferito ritirarmi in un ristorante con i miei studenti a chiacchierare e poi andar via, spegnendo il cellulare, per evitare telefonate dal passato. No, niente disagio, tranquilli. Solo, non avevo nulla da dire. Che il capitolo fosse chiuso da tempo, del resto, era assodato. Nulla da dire, perché non c'entro più niente con le logiche accademiche: non mi interessa sapere chi stia sgomitando per diventare un ricercatore (e ringraziare a vita il barone di turno), né se uno dei miei cari amici alla fine sia tornato sui propri passi (e quindi all'ovile. All'estero, ma all'ovile). Appunto, scelte individuali e pertanto indiscutibili. Sono felice di essere tornata a casa. Du meine Heimat, Einsamkheit...
Detto per inciso, la foto è un vecchio panorama di Heidelberg. Altro mondo, che per un breve periodo della mia vita ho pensato di eleggere a seconda casa, e dove immaginavo di trascorrere un lungo periodo di studi. Chissa come funzionano le Torri d'Avorio in Deutschlandia...

3 commenti:

Giancarlo ha detto...

... magari occorre prendere atto del fatto che esistono solo momenti di passaggio da una torre all'altra, momenti tanto più carichi di smarrimento quanto più ci si è nutriti di slanci, di ideali, di desideri (illusioni?) di cambiamento... un giorno ti farò vedere un film di quattro minuti, in cui racconto come sia arrivato alla scelta di essere professore, dopo aver avvertito un senso di totale estraneità, di "non-aderenza" verso quelle stesse cose per le quali ero sceso in piazza e avevo lottato... così, ecco il professore-viandante, alla ricerca continua di un nuovo movimento, anche interiore, pur nella persistenza della torre esterna... una difficile arte, quella di costruire dentro di sè il "viandante-consapevole"... ma non è quello che stai pian piano, forse, costruendo dentro di te?

Antistotelis ha detto...

... E non è forse questo spaesamento, questo senso d'estraneità, questa cosciente distanza da Gottinga, il segno dell'uscita dal ghetto? Ricordi? A suo tempo, gli abbiamo risposto: "No, grazie, preferiamo dignità e vita vera!" proprio per questa ragione... E il nostro rifiuto suonò come un indice accusatorio verso uno stile di vita per tanti... Ma è precisamente per questo che abbiamo scelto la scuola: ai ragazzi passa molto più, lo sai del cumulo d'informazioni che quotidianamente gli riversiamo su. Passano odi e amori, idiosincrasie, inclinazioni, resistenze, slanci ed ideali. E, mi piace pensare, il nostro sguardo irriverente che accompagna una convinzione perenne: che sia il mondo a doversi adeguare a noi. Giammai viceversa.

Pythya ha detto...

Eh già, alla fine siamo ancora così. Non siamo noi a doverci adeguare. Sono loro, se vogliono a doverci accettare. Punto e basta. Senza troppi compromessi, sguardo dritto e arrogante, proprio come noi. Anche perché, non dobbiamo ringraziare proprio nessuno, e possiamo permettercela, l'arroganza. Hybris, ma con moderazione, altrimenti gli dei ci puniscono accecandoci...Ma lo sanno che non siamo tipi da phronesis...
Ed è questo, ciò che passa, è il fatto che noi non sappiamo né vogliamo adeguarci a tutto, continuiamo la nostra Wanderung, verso dove non lo sappiamo, l'importante è non sostare troppo, non cristallizzarsi, sempre in tensione verso l'altrove, spirituale ed intellettuale. Ed è questo, forse, che più viene apprezzato da quei "poveretti" che ogni anno, "sfortuna" loro, ci passano davanti. Le torri, come insegnano i piccoli Hobbit, possono essere abbattute distruggendo le catene (gli anelli) del potere...anche da lontano...