mercoledì 28 maggio 2008

Stanza degli sfoghi verbali



Decisamente sono molto arrabbiata. Il problema ovviamente è che non so perché, non so esattamente contro chi, non so esattamente per quanto tempo né da quando io mi trovi in questo stato. Semplicemente, lo posso constatare. Mi scopro intollerante non solo agli alimenti, insofferente verso la maggior parte degli atteggiamenti delle persone. Comincio a non sopportare più coloro che mi dicono cosa io debba esattamente fare o non fare, coloro che credono di farsi furbi alle tue spalle e pensano così di approfittare del tuo lavoro (e fanno pure gli offesi se poi ad un certo punto ti rifiuti). Poi parto con la sequela di no, no grazie, non posso, preferirei di no eccetera e tutti rimangono allibiti. Colpa mia, certo. Sono io che li ho abituati alla dipsonibilità. Devo ancora imparare a dosare affermazioni e negazioni, sono un'estremista anche in questo.
Sono decisamente arrabbiata. Poi combino i danni, come del resto ho imparato a conoscere negli anni. La conosco, la delusione dipinta nei loro occhi, le espressioni incredule al mio netto no grazie, preferirei di no. E poi si va a finire male. Già, perché io non ho mai risposto. Mi sembra abbastanza inutile discutere con chi pensa di avere ragione a priori. Fiato sprecato. Peccato che dall'altra parte si pensi che io stia dando loro ragione. Mi dispiace, non hanno ancora imparato a conoscermi. E io che credevo che fossero miei amici.
Ma non sono arrabbiata solo per questo. Non mi piace l'aria che si respira qui attorno, non mi piacciono quasi tutti i discorsi che ascolto, non mi piacciono le chiacchiere da autobus, non mi piace parlare per sentito dire. Preferirei di no, preferirei non parlare.
Mi sento alquanto inattuale, non credo di avere completamente torto. A volte, però, i mulini a vento mi sembrano così insormontabili. E fuori piove. Aveva ragione Bartleby: Preferirei di no, grazie.
Continuiamo, va, sempre in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber.

lunedì 26 maggio 2008

Stanza delle donne (2)


In realtà, questo post nasce da un commento ad un recente post di Barbara, che pare abbia suscitato grandi dibattiti. Come sempre, quando si parla di sessismo, di battute sulle donne e dell'Italia. Che volete che vi dica, anche per questo ho eletto da tempo a mia dimora la biblioteca di Hogwarts. I miei libri, il mio mondo, preferisco il ghetto alla realtà dei fatti. In Italia si respira un'aria strana, xenofoba, certo, omofoba e sessuofoba. Che le battute sulle donne siano all'ordine del giorno non è una novità, purtroppo. E che l'attuale presidente del consiglio abbia dato come rimedio ad una precaria il matrimonio con un miliardario (ad esempio il figlio) non me lo sono inventato io. Devo ancora compierli, 40 anni, ma è un dato di fatto che io ho vissuto sulla mia pelle che al momento del dottorato in filosofia ero io l'unica donna con borsa di studio ed i professori mi guardavano con l'aria sorpresa (cosa ci fa questa in un luogo simile. Lo diceva anche Aristotele, nel quarto secolo avanti Cristo). Come è anche un altro dato di fatto (che personalmente mi manda in bestia) che le persone, uomini e donne, si rivolgano a me sempre con l'appellativo di signorina (prima), signora (adesso. non sono sposata, ma ho ormai un'età) e non con il titolo che mi spetta, sia esso dottoressa prima e professoressa poi (titoli per i quali ho studiato per superare esami, lauree, dottorati e concorsi di abilitazione); mentre ai miei colleghi uomini si rivolgono sempre e comunque col titolo di professore...Ma questo avviene in tutti i campi. La signorina in camice bianco che viene ad aprirti in ambulatorio è sempre l'infermiera, non ti viene neanche in mente che sia la dottoressa, eccetera eccetera.
Lavori, ma a casa tocca a te. Sei fortunata se hai un marito, un compagno che decide bontà sua di darti una mano. Tanto se non riesci a stare dietro a tutto sono comunque problemi tuoi, sei tu che non sei in grado di mandare avanti una casa con tutto quello che essa comporta. E' tuo dovere, e dovresti anche sentirti in colpa se non ce la fai. Se anche le tue amiche, laureate e di sinistra, per il tuo complenno decidono di regalarti un vaso per i fiori e non qualcosa per la tua persona, vuol dire che Elena Gianini Belotti non se li è affatto inventati i condizionamenti culturali. E che per descrivere una professionista di non importa quale settore si ricorra comunque a metafore sessiste non è una novità, lo si fa sempre e comunque sui media tradizionali. Che i pregiudizi di genere siano ben radicati in Italia non se lo è inventato ovviamente nessuno.
Siamo ancora zitelle, non single. Abbiamo l'obbligo di lavorare, badare alla casa, ringraziare se il nostro uomo dà una mano in casa e pure sentirci fortunate, essere sempre attente a noi stesse (parrucchiere, manicure, eccetera) perché dobbiamo sempre apparire perfette, dimostrare di valere il doppio dei nostri colleghi uomini per poi sentirci dire che è colpa nostra se non vogliamo avere figli, che siamo egoiste perché pensiamo solo a noi stesse.
Vogliamo fare troppe cose, ovviamente è colpa nostra se non riusciamo a fare tutto quello che ci viene richiesto: abbiamo sempre degli obblighio verso qualcuno. Se i miei genitori sono anziani e malati, è compito mio accudirli, per fortuna che adesso esistono LE badanti che ci aiutano altrimenti le donne sono costrette a lasciare il lavoro (poi si sa che non sempre un solo stipendio in famiglia basta e quindi anche la donna è bene che conservi il suo posto di lavoro, subordinato a quello del marito naturalmente); cosa ne sa di accudimento un uomo che ha sempre demandato questo alla donna, come del resto ha fatto lo Stato in Italia.
Se ci sono problemi economici e sociali sono sempre le donne le prime a rischiare posto di lavoro, sicurezza economica e conquiste sociali (194, asili nido eccetera). Tanto, la donna è abituata a subire, in silenzio, abusi e violenze. Non per niente rimangono la prima causa di morte per le donne nel mondo.
Confidiamo nelle streghe, che è meglio. Almeno non sognano di diventare veline e non hanno come massima aspirazione nella vita di partecipare ad un programma della De Filippi e di sposare un milionario come il figlio di Berlusconi.

sabato 17 maggio 2008

Stanza delle domande consuete



Cerco qualcuno che mi spieghi cosa significhi identità. Mi dispiace ma non l'ho ancora capito. Prendiamo il mio caso, ad esempio. Sono una donna, ok. Europea, penso, italiana, credo. Laica, fondamentalmente anarchica, amo Tolkien e la fantasy, Nietzsche e Juenger, filotedesca, fanatica delle regole della convivenza civile ma in macchina supero sempre i 50 km orari; salutista ma adoro la birra, intollerante e non solo al nickel, sebbene intollerante spesso con gli intolleranti...potrei continuare per ore, e tutte queste cose insieme parlano di me, sono parte di me. Ma niente di queste singole parti descrive l'intero. Per gli esseri umani, infatti, non valgono le proprietà dell'insiemistica. Io sono tutte queste cose e anche altre, e ritengo molto limitante essere definita sulla base di uno solo di questi parametri. Sulla base di cosa mi si definisce soltanto su un parametro? E' sufficiente dire di me che sono Italiana? Sono nata in Italia, certo. Molti aspetti dell'Italia però non mi identificano: non sono cattolica, non ho votato per Berlusconi, non salgo sul carro dei vincitori, non sono mai stata raccomandata eccetera. Cosa mi accomuna, a me che sono seppellita qui dentro la biblioteca di Hogwarts ad un milanese o ad un trapanese. Abbiamo davvero molto in comune io e costoro? Già, perché se l'identità è una ed una sola (ancora la matematica applicata agli individui), dobbiamo far parte tutti indistintamente della stessa categoria. Neanche i miei amici, le mie amiche hanno molto in comune fra loro, figuriamoci gli sconosciuti. Identità religiosa? Figuriamoci! Sono anni che non metto piede in una chiesa, che visito moschee e sinagoghe per puro interesse culturale. Io non c'entro niente, mangio anche il prosciutto al venerdi santo. Identità culturale? AHAHAHAHA!!!! Quanti di noi hanno letto tutto Dante, Boccaccio, Manzoni, Leopardi, Calvino eccetera????? Identità è parola violenta, perché come tutte le semplificazioni taglia le sfumature, che sono la ricchezza degli esseri umani. Identità è parola finta, perché essa è di fatto una costruzione della cultura egemone del tempo. L'identità italiana degli anni 50 è forse la stessa di quella attuale? Siamo davvero gli stessi? Sempre e comunque uguali? Identità è parola pericolosa, perché in nome di essa, si commettono le più atroci barbarie. Noi contro loro. Il problema è come, chi, e quando si stabilisca chi siano i "loro" contro cui scagliarsi. In pieno nazismo, Goebbels (anima candida, vero?) soleva dire "lo stabilisco io chi è ebreo e chi no", e sappiamo cosa voleva dire essere ebrei in Europa dopo il 1933 (e in Italia dopo il 1938). L'identità è un paravento dietro il quale abiurare alla ragione. E come sempre, il sonno delle ragione genera mostri, violenze, rappresaglie, roghi di libri e inquisitori. Auguriamoci sempre un sobrio esercizio della nostra razionalità.
Per questo non posso tollerare il clima di intolleranza, xenofobia ed aperto razzismo che circola nell'aria come un veleno per le menti.
Dalla dichiarazione in difesa della razza del 1938: "E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti". Poi ci fu l'8 settembre 1943, la resa dello stato. Poi ancora a Roma, il 16 ottobre 1943. La razzia nel ghetto ebraico. Tornarono dagli inferni dei lager in 17 persone. Una sola donna e nessun bambino sopravvisse ad Auschwitz.
Quando vedo in televisione la gente che applaude ai roghi nei campi nomadi, penso ai tedeschi all'alba di quel 16 ottobre 43 che stanavano ridendo gli ebrei che tentavano di salvare le loro vite. I bambini ebrei con gli occhi spalancati sull'orrore. Come quei bambini Rom che ho visto in televisione. Lo stesso sguardo.
Ecco perché rimango ad Hogwarts, tra i miei libri, tra i miei classici, Dante, Calvino, Gadda e tanti altri, fino ad arrivare a Roberto Saviano. Io non c'entro niente con questa Italia. Qualche volta penso di essermi scelta un lavoro à la Don Chischiotte, che combatte contro i mulini a vento. Oggi va così. Domani, forse, riprenderò a combattere. Oggi mi siedo e aspetto. "Io non ci sarò. Io mi siederò ed aspetterò. Seppellite il mio cuore a Woundned Knee" (Woundned Knee è passato alla storia come uno dei più grandi massacri di pellerossa da parte delle giubbe blu americane).
Niente letture consigliate per questo post.

giovedì 15 maggio 2008

Stanza del tempo che fugge


Parlavo con Eliana e mi raccontava della malattia di una persona che lei conosce, alla quale hanno diagnosticato un mese circa di vita. Mi sono spesso chiesta (che ci volete fare, mi faccio spesso sto genere di problemi) come diavolo mi sentirei se qualcuno o qualcosa, mi dicesse che il mio tempo sta per scadere, sia pure fra un mese, fra un anno, fra dieci. Un po' come l'inizio terribile del libro di Terzani Un altro giro di giostra che inizia con la diagnosi "signor Terzani, li ha un cancro". Come sempre, come mi diceva qualcuno in una vita precedente, Il problema non è lo spazio, bensì il tempo. Non che io ne abbia l'ossessione, per carità. Mi pongo però il problema del come io trascorra il mio tempo. Ecco, direi che ho l'ossessione del tempo vuoto. Non riesco a stare troppo a lungo ferma, senza fare, senza pensare, senza programmare. Come se dovessi riempire i tempi morti con qualcosa. Pour ne pas sentir l'horrible fardeau du temps...ancora il mio amato Baudelaire. Non mi interessa lo scorrere del tempo, né mi interessano le mie rughe ed il fatto che non riesca più ad andare a dormire alle due di notte per poi alzarmi alle sette del mattino come se niente fosse...mi interessa però guardarmi indietro e chiedermi se io abbia fatto abbastanza per cercare di riempire la mia esistenza. Come se fosse facile stare dietro ai propri sogni. Già, perché per riempire l'esistenza io non mi accontento di cose materiali. Troppo facili, scontate. Ideali, sogni, rincorse, stelle e pianeti, ecco cosa intendo io per riempire l'esistenza. Continuo a vivere, come dice Fabio, incastrando il mio tempo come le tessere di un puzzle senza fine, tessendo trame, raccattando pezzi, cercando di quando in quando di vuotare le tasche di un passato carico di memorie. Occorrerebbe un bel pensatoio, come quello del preside di Hogwarts, nel quale sversare i ricordi troppo ingombranti, per guardare con occhio leggero il futuro. Correre verso di esso, ma non troppo velocemente, casomai perdessi di vista i miei tentativi di riempirlo.
Ecco, forse farei così, se mai mi dicessero che il mio tempo sta per giungere a scadenza. Verso il futuro, comunque sia, cercando di riempire il mio tempo, istante per istante. Che fatica, a volte.
La citazione di Baudelaire è tratta da un meraviglioso poemetto in prosa (Le spleen de Paris), intitolato Enivrez-vous (Inebriatevi). Ho sempre preferito i poemetti in prosa alle poesie de Le fleurs du mal.
Enivrez vous! Enivrez vous sans cesse! de vin, de poesie ou de vertu, a votre guise...

mercoledì 14 maggio 2008

Stanza delle fughe estive



Il bello del vivere in Italia, almeno, è che fin dalla fine di Aprile assapori l'estate, che a volte fa capolino e si preannuncia in quelle belle ed assolate giornate che ti invitano ad andare fuori, da qualche parte, "n'importe où" direbbe il mio Baudelaire. L'incredibile privilegio dell'abitare in un paese sul mare è che proprio in questi periodi di ponti e vacanze, la spiaggia si rianima, si rimette a nuovo, torna a prepararsi, inesorabilmente, per l'assalto dei turisti. Noi indigeni approfittiamo dei pomeriggi assolati per goderci la spiaggia, il mare, la passeggiata ancora selvaggia e trascurata, per rilassare mente e corpo in un gradevole silenzio. Un sabato pomeriggio al mare, una domenica in bicicletta per ricaricare le pile in vista degli impegni settimanali e sentirsi, in fondo, alquanto privilegiati, ad abitare in questo angoletto di Italia, senza grandi città, senza troppo caos. La famosa dimensione umana della terribile provincia italiana. Salvo poi fuggirne a gambe levate quando la provincia si anima e si affolla nelle giornate agostane, per scappare e respirare aria limpida e brezza di mare. Sotto l'acqua, se possibile, qualche metro sotto, così nessuno può raggiungerti; o lontano, alla deriva, solo con le vele. Per ricordarti sempre che la vita può anche scorrere al ritmo dei tuoi battiti cardiaci. Non è necessario, spesso, correre più forte.
Ora, per l'appunto, vado a fare una passeggiata sulla spiaggia, prima di tornare al lavoro.

Stanza della politica (2)



En passant. Genova 2001.
Nel frattempo, mentre mi trovavo in biblioteca a studiare qui ad Hogwarts, perché per ottenere un M.A.G.O. occorre studiare molto, in Italia si è votato. Anzi, mi sembra che proprio stamani in uno dei due rami del parlamento si stia discutendo sulla fiducia (scontata) al governo Berlusconi IV. Indipendentemente dal fatto che io l'abbia votato o meno (la seconda che ho scritto), c'è qualcosa che proprio non mi è andata giù. Ciò che non ho condiviso della recente campagna elettorale è stata l'interpretazione della parola "SICUREZZA". I nosti candidati se ne sono beati in ogni conferenza, in ogni dibattito. Bene, ci vuole, qui in Italia, un po' più di sicurezza, è vero. Abbiamo davvero troppe insicurezze che ci paralizzano e che non ci fanno essere molto ottimisti sul futuro. L'elenco è lungo: non c'è sicurezza del proprio posto di lavoro (si chiama precarietà, ma non ne ho sentito molto parlare in campagna elettorale); quando il lavoro ce l'hai, non c'è sicurezza sul posto di lavoro (morti bianche, le chiamano. Siamo a cifre impressionanti, e trovo assurdo che una persona esca di casa per andare a lavoare e non torni più dai suoi cari. Non ne ho sentito parlare in campagna elettorale, se non per effetti propagandistici); sicurezza sui propri investimenti economici (Cirio, Parmalat, dicono qualcosa? Perché altrove questi signori che hanno truffato i risparmiatori e quindi ingannato il mercato sarebbero in galera e qui no? Non ne ho sentito parlare per niente in campagna elettorale); sicurezza sulle pene comminate a chi commette un reato (indulti, scarcerazionio facili. Di questo ne hanno parlato. Ma solo per gli stranieri. Uno che delinque deve scontare la pena, indipendentemente da dove sia nato); sicurezza per le donne, che non è solo leggi antistupro (le donne, al mondo, muoiono soprattutto per violenza domestica, ricordiamolo), ma anche sicurezza per una maternità consapevole e responsabile, che comporta asili nido, congedi parentali, diritto al lavoro (qui nella mia zona esistono ancora le dimissioni firmate in bianco nel caso una donna decida di mettere al mondo un figlio).
Per questa gente, invece, sicurezza significa soltanto evitare sbarchi clandestini, mettere in galera i rumeni ed eliminare i campi Rom.
Ecco per loro cosa significa sicurezza. Grazie anche alla complicità dei media, se a delinquere è un non italiano, i telegiornali ed i giornali fanno da cassa di risonanza. Se 4 idioti uccidono a calci un ragazzo in una qualsiasi città d'Italia (Verona, nella fattispecie, ma poteva essere ovunque), si cercano le spiegazioni sociologiche. Se fossero stati non italiani come minimo, dopo regolare fiaccolata di protesta, si sarebbero sprecati i sondaggi pro o contro la pensa di morte. Non ne ho visto traccia, su nessuna rete, in nessun telegiornale. Il sonno della ragione genera mostri, e quello della memoria li alleva, aggiungo io. Lettura del post: più di una. I primi dodici articoli della Costituzione Italiana, tanto per cominciare, soprattuto laddove si parla di ugualianza dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di credo religioso, di opinioni personali e politiche. Casomai se ne scordasse qualcuno.
Seconda lettura. Amartya Sen, Identità e violenza.
Sul tema dell'identità torneremo, comunque.
Welcome in Italy, people.

La stanza dei ricorsi storici


Dove ero rimasta, che mi sono persa un po' in giro. Qui ad Hogwarts, quando è tempo di esami resta ben poco tempo per le altre cose, in effetti. Corsi di aggiornamento, preparazione della quinta all'esame, insomma, ho passato pomeriggi interi davanti al PC. E quando lavoro, per me il PC significa lavoro. Ergo, non lo vedo come uno strumento di svago, un qualcosa cui dedicare tempo libero. Preferisco le mie solite passaggiate con Milla, e, ovviamente, leggere il blog di Barbara. Almeno mi tengo aggiornata sulle sue vicende olandesi. Eccoci di nuovo qui, come l'antico oracolo greco, a vaticinare tempi pessimi e a non essere presa sul serio fino in fondo. Del resto, neanche io credo troppo alle profezie negative. Lettura del post: Alessandro Baricco (scrive bene, il ragazzo), I barbari. Saggio sulle mutazioni. Interessante, perché si fa beffe, appunto , di ogni visione apocalittica.